Pensiero critico nell’era della post-verità

Da uno studio condotto dall’Università di Stanford emerge un dato drammatico: le nuove generazioni sembrano incapaci di ragionare sulla veridicità di un contenuto veicolato in rete.
La ricerca si è svolta tra il gennaio 2015 e il giugno 2016 coinvolgendo in 56 prove 7.804 studenti di dodici stati, provenienti da scuole secondarie e università, sia di modesto che di alto livello. Nella scuola secondaria ragazzi non hanno saputo distinguere le notizie dai contenuti sponsorizzati (pur essendo evidenziato), così come non hanno saputo distinguere una pubblicità da un normale post laddove non fosse presente il logo di una nota azienda o un prezzo. Vengono distratti dalle immagini e fanno pieno affidamento sui primi risultati che trovano su Google.
Gli studenti universitari dal canto loro non fanno selezione tra testate giornalistiche o siti di informazione, non controllano le fonti e tantomeno aprono i link negli ipertesti, non distinguono una pagina verificata da un fake. “Despite their fluency with social media, many students are unaware of basic conventions for indicating verified digital information.” scrive l’autore, Sam Wineburg.
Non credo che in Italia i risultati si discosterebbero molto; diamo un’occhiata agli esiti delle prove in Lettura in Digitale dell’indagine OCSE PISA:
“Making the Connection”, uno studio secondario sui dati PISA 2012, analizza in modo particolareggiato i risultati degli studenti nelle prove CBA di Matematica e di Lettura in Digitale. Lo studio entra nei dettagli soprattutto per quanto riguarda la Digital Reading, ovvero l’accertamento delle capacità degli studenti di raggiungere, decifrare e valutare i contenuti degli ipertesti proposti nelle prove. Al di là di una competenza di decodificazione testuale che è comune a entrambe le attività, la Digital Reading si caratterizza per una attività di lettura ipertestuale che richiede all’utente l’applicazione tanto di specifiche abilità tecnico-informatiche come di corrette strategie di comprensione e gestione dei contenuti che i molteplici ambienti del Web forniscono, in tempo reale, a fronte di qualsiasi tipo di ricerca di informazioni.
Negli studi dell’OCSE, rivolti in particolare alla valutazione Computer Based, un’attenzione particolare, quindi, viene dedicata alla misurazione della competenza che gli studenti dimostrano nel centrare, con maggiore o minore immediatezza, gli obiettivi previsti dalla prova e nel valutare, con maggiore o minore efficacia, l’attendibilità della risorsa informativa raggiunta con la navigazione.

In Italia il 15% degli studenti è del tutto “senza bussola” quando naviga sul web (rispetto a una media OCSE dell’11,6%); inoltre, se si sommano i dati relativi alla “qualità della navigazione” risulta che più del 75% di loro o non conduce alcuna attività di navigazione oppure conduce una navigazione “non orientata” o “insufficiente”, mentre solo il 24,6% conduce una “navigazione principalmente orientata”.
“Non si tratta solo di avere le chiavi di accesso al web, che i ragazzi italiani mostrano di avere, ma anche della capacità di navigare in modo intelligente e proficuo. Molti ragazzi, non solo italiani, non hanno la capacità di dirigere la propria lettura, di dare giudizi sulla pertinenza di una pagina, sulla qualità di un’argomentazione. Cliccano su quello che si muove e non sono selettivi nella loro navigazione, non vanno in modo diretto verso l’informazione che cercano e dovrebbero poi mostrarsi consumatori critici dell’informazione online, la cui qualità è lungi dall’essere uniforme”, afferma Francesco Avvisati, ricercatore dell’OCSE.
E quindi cosa succede quando parte della popolazione giovanile non sa distinguere il vero dal falso? Succede che le notizie potrebbero sembrare tutte potenzialmente vere, quindi prolificano sul web leggende metropolitane e bufale clamorose che le persone danno per buone. Succede che ci sentiamo disorientati in un marasma di informazioni a cui non sappiamo guardare con occhio critico, e quindi ci chiudiamo in quelle che chiamiamo Echo Chambers (stanze dell’eco), in cui siamo circondati da contesti che conosciamo e che ci rassicurano, evitando qualsiasi contatto con argomenti contrastanti. Succede che tutto potrebbe essere falso, al contrario, e che nella confusione ci risulti che la verità non possa esistere semplicemente lì in mezzo, sotto la luce del sole; ed ecco che si cerca una nuova verità, una verità che è vera proprio perché è inaccessibile, nascosta. Da qui, il passo verso il complottismo è breve. Brevissimo.
In quest’era della post-verità, in cui la maggior parte delle persone è convinta che l’informazione più attendibile si trovi in rete, allo stesso modo in cui negli anni sessanta una notizia era vera perché “lo aveva detto la televisione”, bisogna fare attenzione. Perché in rete si trova tutto e il contrario di tutto, e mentre in televisione o sui giornali esiste (o dovrebbe) una garanzia sulla veridicità delle notizie, di cui qualcuno si fa carico anche giuridicamente, online non c’è una selezione delle fonti.
In conclusione, i compiti per tutti oggi comprendono: curiosità e pensiero critico; mettiamo in moto un ragionamento razionale, verifichiamo i fatti, verifichiamo le fonti. Sarà anche un processo meno immediato, sicuramente più faticoso, ma ne va del nostro sacrosanto diritto a una corretta informazione.